domenica 24 giugno 2012

DANNI PSICOLOGICI DI UN TERREMOTO


Come ben si sa le scosse forti che hanno colpito l’Emilia il mese scorso sono state due. La prima, il 20 maggio e la seconda, 9 giorni dopo, il 29 maggio. Ufficialmente e’ stata più forte la prima (5,9 di magnitudo contro il 5.8 della seconda). Ma se si va a parlare con chi ha vissuto veramente questa tragedia, si evince che la seconda è quella che ha toccato di più i popoli dell’Emilia. Ciò di cui stiamo parlando ha un nome. E si chiama ‘ricaduta’. E’ lo stesso concetto di quando si prende un’influenza, si guarisce e tempo 5 giorni, torna di nuovo perchè non si era  guariti bene. Quella ricaduta influenzale susciterà non poca rabbia. Nel caso di una tragedia naturale e non prevista come un terremoto, l’effetto e’ inevitabilmente elevato all’ennesima potenza.

Se le persone dopo la prima scossa, avevano la voglia di rimboccarsi le maniche per ricominciare e ripartire, dopo la seconda hanno avuto il colpo di grazia, capendo che forse la situazione non era risolvibile in poco tempo, ma che lo sciame sarebbe durato molto più a lungo.

Gli effetti psicologici? Paura, depressione, incapacità a reagire. Ciò che si vede, e’ che un fenomeno al quale nessuno e’ estraneo, senza distinzioni di età, di classe sociale o di sesso. Forse gli unici ad essere al di fuori di tutto ciò sono i bambini, che per loro natura vedono il tutto quasi come un diversivo.

I disagi che stanno vivendo le popolazioni colpite sono innumerevoli. A partire dai danni nelle case e dalla consapevolezza che non sarà facile tornare alla vita normale in poco tempo. Un altro grosso problema da sottolineare e’ la distruzione dei centri storici. Centri, che culturalmente, come tipico dei piccoli centri italiani, rappresentano culturalmente un luogo di aggregazione. Luoghi che in molti paesi non esistono più. E ciò rende molto più difficile ripartire e gli effetti psicologici molto forti.

Pensando poi come e’ finita all’Aquila dove sono state create le New Town, come se le persone necessitassero solo di un tetto e non di una casa, in senso molto più esteso. Il rischio e’ che anzichè ricostruire la vita delle persone, si finisca per ricostruirne la sopravvivenza.




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